domenica 19 ottobre 2008

Il divino e' nell'eccezionale

Questo fatto e’ piuttosto personale, ma ve lo voglio raccontare lo stesso, tanto ormai…

Qualche sera fa ero in uno stato pietoso. Tutta la giornata aveva avuto un peso insopportabile. Quello che mi tirava giu’, come spesso accade, era la percezione che le persone con cui ho a che fare siano irraggiungibili per intelligenza, capacita’, esperienza. Mi sento spesso come se mi mancasse qualcosa di essenziale che gli altri hanno. [nota per gli esperti di Enneagramma (ben piu’ di qualcuno fra i lettori… anzi saluto Francesco e Serena, i maestri della disciplina): la tipica invidia del numero 4.] Ero uscito bastonato da un seminario. Quasi tutti gli altri studenti qui sono madrelingua e hanno studiato a Oxford o Cambridge. Non e’ sempre facile tener testa. Non che si debba farlo, ma col mio carattere e’ dura resistere… Insomma mi sentivo giu’ per questi motivi in fin dei conti molto egoistici, come se tutte le grazie che ho ricevuto dalla vita non siano abbastanza…

So’ che se mi sento avvolto dalla depressione, faccio fatica ad alzarmi al mattino e inizio male la giornata. Cosi’, fra le tante cose ben piu’ poderose su cui riflettere durante la preghiera della sera, ho aggiunto una piccola richiesta di essere aiutato ad alzarmi. Poi mi sono addormentato dopo aver letto solo qualche pagina Haruki Murakami.

Al mattino suona la sveglia-cellulare. Premo “Spegni e attiva cellulare” e dopo un po’ arriva un messaggio. Mi scrive una ragazza che ho conosciuto in Uganda, che non sentivo da circa un mese. Ci scriviamo ogni tanto, ma di certo non c’e’ regolarita’ e sicuramente non sapeva niente di come sto’ io a Londra. Il messaggio era una specie di allegra filastrocca che si dice a qualcuno per svegliarsi, con un incoraggiamento a prendere in modo leggero e positivo la giornata.

Illuminato e rasserenato profondamente da questo messaggio, diradata la nebbia dell’insicurezza, la chiamo spiegando la rilevanza del suo messaggio e poi lei mi chiede di spiegarle cosa mi rende insicuro. Lo faccio, andando oltre al problema piuttosto poco importante del sentirsi inferiore agli altri, entrando invece nella dinamica ben piu’ caotica del sentirsi inferiori a se stessi, che e’ spesso una delle forme che prende il `senso di colpa sistematico’. Lei procede con un incredibile, profonda, umanissima spiegazione del perche’ ci si sente cosi’ e del come orientarsi per stare meglio. E di come sia profondamente piu’ cristiano avere uno sguardo piu’ benevolo verso se stessi. Tutto questo alle nove e mezza di mattina. Cose dell’altro mondo?

Riflettendo a posteriori mi sono ricordato di alcune osservazioni dei padri gesuiti agli esercizi e di cose dettesi con Mattia o alla Scuola di Comunita’, cioe’ che il segno del divino e’ l’eccezionalita’. Cioe’ ti accorgi che c’e’ un’eccezionalita’ che ti attrae. Il Signore fa cose nuove, si inventa cose nuove, anzi meglio “fa nuove tutte le cose” (Ap 21,5). Mentre il maligno con le sue tentazioni e’ di una noia mortale, si ripete sempre. Le `tentazioni’ che ci fanno cadere sono sempre le stesse! Ecco un buon trucco per riconoscere chi ci parla: novita’ attraente o ripetizione? E’ chiaro che questo e’ un test che da solo puo’ ingannare, ma assieme ad altri elementi direi che puo’ aiutare a discernere…

(chiedo scusa a chi non e’ a suo agio con questo linguaggio un po’ medioevale: maligno, tentazione… immagino l’incommensurabile distacco di Nicola, ma anche il suo sorriso - sono parole tecniche che vanno bene per esprimersi, ma credo che l’essenza di quanto si dice qui valga anche secolarizzando un po’.)

Poi ripensando a questo fatto del messaggio mi sono ricordato di altre conversazioni avute con Riccardo e di intuizioni da lui ricevute. Lo “spreco” come segno del divino. Una parola forte ma che voglio usare in modo stretto, tecnico. Il Signore sa `sprecare’ nel suo dare. Da’ in abbondanza. Molto di piu’ e molto piu’ in la’. Cioe’ mi ha colpito di essere stato aiutato in questa piccola e misera debolezza: non nel trovare una risposta a una domanda sulla vita, ma nel fare fatica a svegliarsi! Riccardo aveva notato lo “spreco” contemplando la natura (e credo leggendo la Genesi). Si chiedeva, in un estasi per la natura che io nella mia durezza per il mondo vegetale non mai ho avuto: perche’ tutta questa abbondanza, perche’ tanta diversita’ e tanta ricchezza nelle specie di alberi, nei tipi di foglie? Non e’ forse uno spreco questo per noi che siamo abituati a misurare tutto a nostra misura? E passeggiando per Padova mi mostrava foglie dai rami… (forse una delle poche passioni che non condividiamo, assieme forse al “sausage with mushed pees” - l'insaccato nucleare con puree' di piselli servito alla mensa universitaria di Manchester)

Spreco. Nel Cantico dei Cantici (1, 4) il nome dell’Amante/Signore e’ “profumo versato”. Come da un vasetto che si rompe. Sprecato. Che e’ metafora della resurrezione. Che sia la stessa immagine?

2 commenti:

Unknown ha detto...

carissimi ciao a tutti e un abbraccio a ivana,

simone - candalue- hai cominciato a macinare eh! le tue parole han preso i colori di quello che fai.. appieno.. bello, cercherò di seguirti anche nel lessico tecnico.. e nei punti di partenza.. così diversi.. fede e significati.. bellissimo.. ma Nicola io e te dobbiamo tener botto qua.. : )

almeno una domanda non posso non farla.. Simone parlando della ricchezza del mondo biologico tu dici:
"Non e’ forse uno spreco questo per noi che siamo abituati a misurare tutto a nostra misura?"

Ecco, la parola "abituati" mi turba.. se supponiamo di perderla quest'abitudine, anche solo per un attimo (e la fisica come scienza esiste proprio perché l'ha persa questa abitudine di usare l'uomo come misura-centro del mondo, secoli fa), ecco che la "misura" diventa una scelta.. il "metro" è quello dell'empiria scientifica o quello del disegno divino, o tanti altri.. metri diversi per "misurare" la stessa cosa che portano a misure diverse, espresse anche in unità di misura diverse (nella tua passeggiata con Riccardo: la varietà dovuta alle leggi quasi fisiche dell'evoluzione darwiniana da un lato, e la contemplabilità della bellezza di tale varietà dall'altro lato)..

noi osservatori nella modernità abbiamo tutti una cassetta degli attrezzi con tanti "metri" (nel senso di strumento di misura, cordino coi nodi, stecca in pollici, laser in decimi di millimetro, ecc.) dentro, e la responsabilità di scegliere quale usare ogni volta..

Il punto è con quale scopo "misuriamo"? Progettare l'arcata di un ponte o essere felici? Quale misuratore è più utile e affidabile? Soprattutto poi quando non siamo in una stanza da soli ma in un mondo di gente ognuno con le sue cassette e relativi attrezzi.. e che continuamente si misura, ci misura e ci parla.. come in questo blog..

siate felici e fate ponti amici.
io vado che stasera ho un po' di uno e dell'altro da fare : )

con affetto, come sempre
alberto,

Unknown ha detto...

Mandi Alberto,

grazie del tuo commento, e in generale della tua partecipazione cosi’ fresca e stimolante. Mi ha colpito come tu ti sia fermato su una frase ("Non e’ forse uno spreco questo per noi che siamo abituati a misurare tutto a nostra misura?") che io avevo tutta l’intenzione di togliere, o almeno modificare, perche’ non era per niente chiara. Non l’ho fatto solo per pigrizia e perche’ pensavo che in quel contesto creasse la suggestione giusta, ma niente di piu’. Era un modo impreciso di elaborare un pensiero di Riccardo. Nel mio contesto volevo contrastare il concetto di “spreco” cioe’ di eccedenza, di sovrabbondanza, nel modo di operare di Dio con il concetto di calcolo, efficienza, “misura a nostra misura” che invece puo’ caratterizzare tanto nostro agire. Tutto qui.

Tu invece ne fai motivo per lanciare una speculazione teoretica sui livelli di realta’ e – puntellando sulla parola “misura” – sul nostro rapporto di conoscenza con essi. Bene! Un motivo vale l’altro immagino per affrontare questo tema che ci impegna, ci tortura e ci diverte ormai da anni, in una forma o nell’altra. Il corso di filosofia della mente che sto seguendo sta introducendo delle categorie molto importanti per affrontare con piu’ precisione il problema dei livelli di realta’ e il rapporto causale fra di essi, ma ancora non li ho acquisiti, quindi parlare ora e’ un po’ come lo e’ sempre stato, una notte di agosto o di gennaio, alle 2am, in un parcheggio, dopo la piscina, la pizza, la birra.

Tu apri la questione dicendo che non c’e’ una prospettiva privilegiata o piu’ vera per osservare il mondo, ci sono solo metri diversi per misurare la realtà, a seconda degli scopi. C’e’ il microscopio per gli atomi, quello per le proteine, il regolo dell’ingegnere, il testo del sociologo, il programma del politico, la dottrina del teologo. Bene. Poi inoltre sembri suggerire che alcuni metri siano piu’ appropriati per degli scopi di conoscenza o scienza (“progettare l’arcata di un ponte”) altri invece che operano piu’ nella sfera esistenziale, di senso (“come essere felici”). Bene anche qui. Mi occupo un po’ della prima parte per ora.

Quando parli dei diversi metri, mi sembra di cogliere un po’ il senso di abbandono dalle tinte post-moderne (con cui tu sei a tua agio) per una realta’ che non si lascia cogliere integralmente, ma che mostra solo delle facce a seconda di quale strumento si usi per misurarla. Bisogna a questo punto mettersi in guardia e andare a fondo di quella sensazione e vedere che basi abbia.

Che cos’e’ una pecora? Un ammasso di atomi, un orchestra di organi funzionanti, un elemento dell’ecosistema, un simbolo per un poeta, un animale che ha una finalita’ nel creato? Certamente puo’ essere tutte queste cose… ma con “essere” bisogna andare cauti…

La domanda e’ questa: la realta’ e’ una e integrale, ma appare differenziata nel momento in cui la misuro a livelli diversi di complessita’ (posizione dura), oppure la realta’ e’ in essenza fondamentalmente differenziata e il suo essere e’ proprio dato dalla nostra descrizione (posizione molle)? Qua bisogna decidere se la differenziazione sia un problema descrittivo o essenziale. Credo che il problema vada posto in questi termini, ma non sono sicurissimo sia la domanda che ci fa fare piu’ strada. Ci vorrebbe Francesco Callegaro, il ragazzo di Angela mia sorella, a fare chiarezza qua.

La prima posizione (posizione dura) in realta’ si sdoppia. C’e’ la posizione durissima, quella di Paolo Xausa per esempio (un nostro amico), secondo cui basta il microscopio per gli atomi: e arrivera’ un giorno in cui ci sara’ sufficiente potenza di calcolo per spiegare a partire da essi gli organi, la zoologia e l’immaginazione simbolica. C’e’ la posizione dura-giusta (la mia… he he!) secondo c’e’ un nocciolo comune di realta’ unificata al di sotto di tutti i livelli di complessita’, ma non e’ possibile spiegare i livelli di complessita’ maggiore riducendoli a quelli inferiori perche’ non c’e’ causazione solo dal basso verso l’altro ma anche dall’alto verso il basso (il problema della causazione e’ fondamentale credo, cioe’ chiarire cosa causa cosa fra i livelli di realta’ – ma ora non c’e’ tempo per entrare in questo tema). I infine c’e’ la posizione molle (credo quella di Alberto, ma non sono sicuro sia un purista della versione molle) secondo cui cio’ che appare al livello di osservazione che scelgo coincide con quello che esiste.

Ho solo cercato di chiarire un po’ alcune delle posizioni possibili. Non ho detto ancora niente. Ma credo che si deva riflettere molto sul problema della causazione. Perche’ la pecora se ne va a zonzo nel prato a cercare erba? Basta una legge necessaria a livello atomico per spiegarlo o la pecora sta operando secondo una norma che e’ prodotta indipendentemente a livello delle sue facolta’ celebrali? Una norma che puo’ anche essere trasgredita… (ma qui sono a scuola di Francesco Callegaro (che e’ andato a scuola da Aristotele) e sono in pericolo di copyright).

Forse questo commento sulla causazione va troppo in la’ e tu Alberto volevi solo ragionare sulla problematicita’ di avere tanti strumenti di misura e come questo ci crea casino nella vita, ma la rende anche molto interessante. Si’ sono d’accordo con tutto quello che dici rimanendo piu’ a livello di suggestione. Ma andando a fondo vengono fuori i casini.

Per concludere direi:

“Chi ha fatto il ponte ed e’ felice, beato lui”
“Chi non ha fatto il ponte ed e’ felice, beato lui”
“Chi ha fatto il ponte e non e’ felice: basta far ponti, ci sono tante altre cose nella vita!”